Pubblicato da Ruggiero Corcella il: 11 giugno 2021

Nelle malattie neuromuscolari il gioco dei bambini è “una cosa seria”

Per gentile concessione del Corriere Salute, settimanale del Corriere della Sera, riproduciamo questo articolo scritto in base a un’intervista fatta ad Enrica Rolle.

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Dal pavimento al soffitto, un barattolo sopra l’altro a formare la torre più alta: chi da bambino non ci ha mai provato? Sembrerebbe un semplice gioco dove manualità e fantasia concorrono alla pari. Proviamo però a cambiare punto di vista. Prendiamo un bambino con una distrofia o altra patologia neuromuscolare (ce ne sono circa 200 e in Italia colpiscono circa 40mila persone) ed ecco che quello stesso “semplice” gioco di impilare barattoli diventa anche un trattamento o uno strumento di valutazione.

Chi ne può beneficiare
Secondo una frase attribuita al filosofo cinese Lao-tzu “il gioco è la medicina più grande”. Ma è anche lo strumento principale usato per la valutazione (con tanto di studi scientifici a supporto) e il trattamento nella neuro e psico motricità dell’età evolutiva. Ne possono beneficiare bambini e adolescenti con difficoltà nelle aree neuropsicomotorie, quindi con ritardi psicomotori, autismo, Adhd (disturbo da deficit di attenzione/iperattività), disprassia (disturbo della coordinazione motoria), disabilità intellettiva, disturbi visuo-percettivi, sindromi rare come quella di Rett, paralisi cerebrali infantili, malattie neuromuscolari. “La maggior parte dei pazienti con patologie neuromuscolari ha un deficit motorio ma nessuno intellettivo. Quindi è fondamentale metterli nella condizione di poter giocare perché il gioco di per sé è molto importante: è il mezzo attraverso il quale il bambino conosce il mondo da tante angolazioni diverse. Così impara non solo modalità di movimento ma anche di relazione, impara a stare in società” sottolinea Enrica Rolle presidente della Uildm (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) di Torino Nelle-malattie-2e terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva S.S. Malattie neuromuscolari, dipartimento di Neuroscienze Rlm, Università di Torino.

Bisogno naturale
“Questi bambini hanno bisogno di giocare e noi consigliamo delle strategie ai genitori per metterli nelle condizioni di poterlo fare. Ad esempio i pazienti con atrofia muscolare spinale (Sma) hanno tendenzialmente meno forza quindi suggeriamo di solito l’utilizzo di giochi molto leggeri, piuttosto che posizionati in modo tale da poter consentire con il loro movimento di metterli in azione o di giocare con altri bambini. Ma il gioco è anche il mezzo che utilizziamo per effettuare il trattamento e le valutazioni, per entrare in relazione con il bambino, creare quell’alleanza terapeutica essenziale per lo svolgimento del nostro lavoro. E’ anche il motivo per cui nelle nostre terapie non abbiamo dei protocolli rigidi perché ci adattiamo in quel momento alle esigenze del bambino, che cambiano di volta in volta”, aggiunge la terapista.

Il primo approccio
Come viene impostato il lavoro? “Di solito la prima volta che incontriamo un bambino, osserviamo la sua capacità di gioco e di movimento spontanei. Ad esempio se parliamo di un bambino che almeno si sposti ‘a quattro zampe’ disponiamo dei giochi nella stanza e vediamo come il bimbo si muove nell’ambiente, come interagisce con i giochi e identifichiamo già alcune aree che potrebbero essere un po’ più carenti rispetto a quello che ci aspetteremmo per un bambino di quell’età. Attraverso delle modifiche dell’ambientazione o interazioni dirette con il bambino, cerchiamo di capire se in quel momento è in grado di compiere determinati movimenti con un aiuto o se invece è una competenza che non ha ancora sviluppato. Ad esempio voglio verificare se dal gattonare riesce a mettersi in ginocchio. Banalmente prendo il gioco e lo metto più in alto e vedo se lui per raggiungerlo riesce a mettersi in ginocchio e quali strategie utilizza per farlo”.

Attrezzature specialiNelle-malattie-4
Nello svolgimento della terapia, gli specialisti dispongono di una varietà di strumenti: “In realtà possiamo usare un sacco di giochi che sono normalmente in commercio. Non è tanto il gioco in sé ma come viene utilizzato che fa la differenza. Usiamo cuscini, tappeti, elastici, strumenti specifici come la palla Bobath o il lettino Bobath su cui è più facile eseguire i trattamenti. Poi c’è tutto il mondo delle ortesi e degli ausili. Ma non basta. Bisogna anche essere molto fantasiosi, adattarsi velocemente alla situazione con ciò che si ha a disposizione e su quelli che sono gli interessi dei bambini, diversi uno dall’altro”.

Il ruolo delle famiglie
La collaborazione di mamme e papà è fondamentale per la continuità delle cure. “Cerchiamo di fare molta attenzione però a che il genitore rimanga tale e non diventi lui stesso un terapista perché non fa bene a nessuno. Le famiglie vivono già una situazione molto complessa in generale, fatta comunque di preoccupazione e di stress per quanto possano comunque cercare di viverla nel modo migliore possibile. Nelle sedute di trattamento facciamo un lavoro molto preciso, mirato e intensivo ed è giusto che il bambino sappia che quel lavoro si fa con noi. Ai genitori diamo dei consigli su come posizionare i bimbi, come aiutarli e facilitarli ma senza dare indicazioni come se fosse un trattamento. Diciamo che sono consigli di massima da utilizzare quotidianamente ma per un tempo indicativo, perché ci interessa che lui lavori bene quando è il momento, ma poi è giusto che giochi liberamente con i suoi genitori”.

Strategie da lockdown
Il gioco è stato protagonista anche in questo anno di pandemia. “All’inizio c’è stato un momento di smarrimento. Il nostro lavoro considera il bambino nella sua interezza e ovviamente il trattamento elettivo è quello in presenza. Ma abbiamo dovuto adattarci, sia noi sia le famiglie, e anche il nostro Ordine professionale si è prodigato molto per darci un sostegno. Così abbiamo trovato delle strategie che possono offrirci molto, anche al di là della pandemia. Siamo partiti con i colloqui telefonici per capire com’era la situazione. Poi abbiamo valutato gli spazi a disposizioNelle-malattie-3ne nelle case, per individuarne uno dedicato e fare in modo che non fosse trasformato in un ‘setting’ unico di trattamento. Ci siamo inventati dei giochi che i bambini potessero fare in autonomia o con fratelli o familiari. Oppure abbiamo creato dei file e li abbiamo mandato ai genitori con le istruzioni su possibili alternative per continuare un certo tipo di trattamento, che ovviamente andava modificato perché banalmente il ‘setting’ non era lo stesso di quando si è in presenza”.

Sanità digitaleNelle-malattie-5
Nell’era della sanità elettronica si cerca anche di sfruttare le potenzialità offerte dalle tecnologie innovative. “Adesso si sta pensando di creare applicazioni che ci consentano di monitorare l’andamento del paziente a distanza, in modo da avere una sorta di diario dell’attività svolta dal bambino”, dice Enrica Rolle.

Campagna di raccolta fondi
In tempi di Covid-19, parlare di diritto al gioco per i bambini diventa ancora più importante. Per questo fino al 31 dicembre l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare lancia la campagna di raccolta fondi “Inclusione, un gioco da ragazzi”. Uildm vuole sostenere il progetto “A scuola di inclusione: giocando si impara” che promuove il diritto al gioco dei bambini con disabilità attraverso una serie di azioni di sensibilizzazione nelle scuole e di riqualificazione in ottica inclusiva di parchi e aree verdi in 16 regioni italiane e della provincia autonoma di Bolzano, in collaborazione con le amministrazioni locali. La campagna sarà ospitata sulla piattaNelle-malattie-6forma “For Funding” di Intesa Sanpaolo e ha l’obiettivo di raccogliere fondi per realizzare 28 interventi di riqualificazione (giostre e giochi accessibili a tutti) in altrettanti parchi giochi. Il primo intervento sarà effettuato nel parco dell’ospedale Monaldi di Napoli, dove nell’ottobre 2020 è stato aperto il Centro clinico NeMO, specializzato per le malattie neuromuscolari. Il secondo è previsto nei giardini Guerra a Genova e il terzo nel Parco dello Zero di Marcon, Venezia. Tutti possono dare il proprio contributo per rendere accessibili i parchi e garantire il diritto al gioco dei bambini con disabilità (il link <https://www.forfunding.intesasanpaolo.com/DonationPlatform-ISP/nav/progetto/giocando-si-impara>).Nelle-malattie-7