La distrofia muscolare di Becker
Diagnosi, gestione multidisciplinare e prospettive terapeutiche
Cenni introduttivi
La distrofia muscolare di Becker (BMD) è una condizione genetica ereditaria legata al cromosoma X. Definita come “distrofinopatia”, viene attribuita ad alterazioni patologiche nel gene della distrofina (gene DMD) e rientra nello stesso gruppo di malattie della distrofia di Duchenne (DMD) e della cosiddetta “forma intermedia” (cioè con sintomi a metà strada fra Becker e Duchenne).
Le distrofinopatie presentano caratteristiche cliniche variabili: la DMD è associata a sintomi più precoci e gravi, mentre nella BMD i disturbi sono generalmente più tardivi e con un decorso più lieve e invece il fenotipo intermedio (IMD) mostra quadri più lievi della classica DMD e più severi della BMD.
Ad oggi non è stata ancora riconosciuta con precisione, se non in poche forme, una correlazione lineare tra la genetica e la gravità del quadro clinico di DMD o BMD, ma è ampiamente noto che la forma di tipo Becker, diversamente da quella Duchenne, si manifesta con un quadro clinico meno grave perché risulta determinata classicamente da alterazioni genetiche di tipo in-frame, ossia che consentono comunque la produzione di una certa quota di distrofina. Ciononostante, all’interno dello stesso gruppo di malattie, la distrofia muscolare di Becker si manifesta con quadri clinici anche molto differenti l’uno dall’altro. Alcuni dati suggeriscono che geni diversi dalla distrofina possano influenzare la gravità della patologia e a tal proposito sono in corso diversi studi di storia naturale e sui “modificatori genetici della malattia” anche in ambito nazionale, come quello coordinato dalla Clinica Neurologica – Azienda Ospedale Università di Padova e al quale partecipano i principali centri di malattie neuromuscolari italiani.
Manifestazioni cliniche e diagnosi
A differenza della DMD, nella distrofia muscolare di Becker l’età di insorgenza dei sintomi è generalmente più tardiva, sebbene vari ampiamente dai 5 ai 60 anni mediante un coinvolgimento clinico solitamente più lieve. I disturbi muscolari (ad esempio crampi, dolori ai muscoli, emissione di urine color marsala dopo uno sforzo/rabdomiolisi, intolleranza all’esercizio fisico, difficoltà a salire e a scendere le scale) possono non essere il principale motivo di diagnosi, che talvolta avviene in seguito al riscontro in età infantile di una prominenza dei polpacci rispetto alla massa muscolare generale e/o di un notevole aumento dei valori della CK, un enzima muscolare rilasciato nel sangue in caso di danno delle fibre del muscolo.
Nel contesto della malattia l’interessamento del cuore è sicuramente da controllare, in quanto spesso riguardo alla BMD esso può costituire il principale segno di coinvolgimento dell’organo.
Quando si sospetta una distrofinopatia, diventa poi fondamentale richiedere il dosaggio su sangue della CK e indirizzare il paziente (bambino o adulto che sia) a uno specialista in malattie neuromuscolari, per un’accurata valutazione clinica del paziente e dei suoi familiari.
Oggigiorno il test genetico molecolare, effettuato mediante un semplice prelievo del sangue, può confermare in maniera definitiva una diagnosi di distrofinopatia anche senza ricorrere alla biopsia muscolare. Tuttavia, all’interno di una modesta percentuale di pazienti, i difetti genetici non sono così agevoli da distinguere e allora si rende necessaria una biopsia del muscolo per lo studio della distrofina.
Quando nel gene della distrofina non si trova una mutazione causante la malattia, oppure la biopsia muscolare non sia compatibile con il primo sospetto clinico, diventa allora fondamentale considerare altre ipotesi diagnostiche, come l’atrofia muscolare spinale (SMA), la distrofia muscolare dei cingoli o altre forme ereditarie o acquisite di malattia muscolare.
La gestione multispecialistica
La presa in carico del paziente affetto da distrofia muscolare di Becker richiede diverse valutazioni specialistiche, nell’ottica di salvaguardare le funzioni e la qualità della vita del paziente stesso.
Oggi, ancora in assenza di una terapia specifica per la BMD, la riabilitazione motoria assume un ruolo di prim’ordine fin dall’insorgenza dei disturbi iniziali, ciò allo scopo di mantenere il più a lungo possibile la forza e la resistenza del sistema muscolare, così come di prevenire le retrazioni articolari, le cadute e gli episodi di rabdomiolisi.
Oltre al monitoraggio della funzione muscolare effettuata dagli specialisti neuropsichiatra infantile o neurologo di riferimento, sono necessari diversi accertamenti periodici sul benessere del cuore, dei polmoni, delle ossa e della nutrizione, proprio come viene previsto in una classica presa in carico multispecialistica. Non è comunque da sottovalutare anche l’importanza della promozione dell’indipendenza e del funzionamento sociale/benessere psicologico del paziente e della sua famiglia, così come la corretta gestione di eventuali problemi legati al dolore cronico e alla salute mentale.
In caso si verifichi la necessità di doversi sottoporre a interventi chirurgici in anestesia generale o a cure in regime di emergenza (ad esempio presso un pronto soccorso), risulta fondamentale seguire le linee guida e le raccomandazioni degli esperti per la prevenzione delle complicazioni correlate alla malattia.
Inoltre, in caso di desiderio riproduttivo e considerando sempre la natura genetica della malattia, si dimostrano di primaria importanza la specifica consulenza genetica al momento della diagnosi e lo studio dei familiari del paziente, allo scopo di determinare il rischio di trasmissione e le eventuali opzioni disponibili nel contesto riproduttivo.
Uno sguardo al futuro
Dal punto di vista terapeutico, sono attualmente in corso diversi studi con approcci terapeutici differenti, tanto per la distrofia muscolare di Duchenne quanto per quella di Becker. Nello specifico della BMD, gli studi con farmaco si trovano principalmente in fase iniziale (fase 1 e fase 2) e utilizzano diversi meccanismi di azione. Ad esempio alcuni di questi ultimi includono l’utilizzo di piccole molecole per limitare il danno legato alla contrazione delle fibre muscolari, l’uso di antinfiammatori come il vamorolone, o l’impiego di antiossidanti e inibitori naturali della miostatina come l’epicatechina.