Inside Out 1 e 2
I film Pixar che ci trasportano nel funzionamento delle nostre emozioni
Attenzione, quest’articolo contiene spoiler su questi film e quindi, se ancora non li avete visti, vi invito a guardarli prima di proseguire con la lettura!
Quando parliamo di un cartone animato pensiamo immediatamente a un prodotto destinato a un pubblico giovane, ai bambini e agli adolescenti, ma lungo il corso degli anni la Pixar ci ha mostrato quanto ciò possa essere falso. Toy story, Alla ricerca di Nemo, Up, Coco e Luca sono solo alcuni titoli tra i molti che ci hanno catapultato in mondi meravigliosi e fantastici, cartoni con messaggi profondi legati alla crescita, alle relazioni umane, all’elaborazione del lutto, al significato della morte e alla diversità. Prodotti, come dicevo, destinati ai bambini, ma che in realtà incantano pure gli adulti, in grado di comprendere appieno la complessità di queste storie.
Il primo Inside Out è uscito nelle sale nel 2015 ed è stato rivoluzionario: infatti per la prima volta abbiamo visto non solo ciò che accade nel mondo esterno, ma anche ciò che avviene “dentro” alla piccola protagonista. E’ la storia di Riley, undicenne del Midwest, cresciuta in una famiglia amorevole, circondata da molti amici e con una grande passione per l’hockey su ghiaccio. La piccola è guidata dalle proprie emozioni: Gioia, Rabbia, Paura, Disgusto e Tristezza, che vivono nel Quartier Generale, il centro di controllo nella mente, da dove l’aiutano ad affrontare la vita di tutti i giorni. La vicenda inizia quando il padre si trasferisce per lavoro a San Francisco e Riley è costretta a lasciare la vita che conosceva per qualcosa di completamente nuovo, un cambiamento gigantesco che mette a dura prova le sue emozioni. Personificate in modo magistrale, queste ultime si rivelano per intero, mostrando quanto ognuna di loro sia fondamentale. E anche Tristezza, all’inizio allontanata e ritenuta inutile, si rivela importantissima.
Lo scorso giugno, nove anni dopo l’uscita del primo film, con il secondo episodio siamo stati di nuovo proiettati all’interno della mente di Riley, che abbiamo ritrovato tredicenne, alla prese con un grande cambiamento, questa volta interno: la pubertà. Quindi abbiamo fatto la conoscenza di nuove emozioni (Imbarazzo, Invidia, Ansia, Noia e Nostalgia) che sono andate ad affiancarsi a quelle presentate in precedenza. Con l’arrivo della pubertà, le emozioni, scompensate, si contendono la coscienza di Riley, rappresentata dalla console, il cui comando diventa motivo di conflitti e dirottamenti. Lo scopo però è sempre lo stesso: la protezione e il mantenimento della sicurezza adattiva della protagonista nei confronti delle variazioni. L’esito di ciò conduce a una rigida e ostinata resistenza al cambiamento, che pone lentamente Riley in scacco matto.
In questa pellicola notiamo bene come le nuove emozioni svolgano questo ruolo adattivo: Invidia spinge Riley verso un sano narcisismo, portandola a desiderare stima e ad ambire all’autoaffermazione, mentre Ansia si rivela necessaria nei processi decisionali (decision-making) e durante le prestazioni della ragazza, una rappresentazione non patogena, ma a tutto tondo. Ad Ansia viene riconosciuto il suo ruolo adattivo, esattamente come per Tristezza nel primo film, a patto che sia gestita entro certi limiti. Nel finale vediamo come questi limiti vengano superati e Riley rimane paralizzata, preda di Ansia, che ha monopolizzato mente e corpo isolandola dalla restante esperienza emotiva. Solo scegliendo di cedere il controllo si assiste a un movimento di accettazione, di flessibilità e apertura al cambiamento.
Comunque, negli ultimi minuti del film, le emozioni si alleano rinunciando al potere e alla competizione, perseguendo una sorta di scopo cooperativo che apre a un senso di sé armonico e integrato, il quale porta alla luce la compassione e l’empatia. La gamma emotiva di Riley ne risulta espansa e allo stesso tempo il nucleo della personalità, prima rigido, si rivela ora più sfaccettato e flessibile. Simbolica ed “emozionante” la frase conclusiva: “Amiamo tutto della nostra ragazza, ogni caotica parte di lei”.
Fra l’altro il modello della mente proposto in questi film si dimostra in linea con il moderno sistema teorico cognitivo-evoluzionista e con il concetto di “Sistemi Motivazionali Interpersonali” (Farina e Liotti, 2018).
Il messaggio di come tutte le emozioni abbiano un ruolo funzionale e uno scopo adattivo, sottinteso nella prima parte, viene invece esplicitato in Inside out 2. In esso viene introdotto il concetto del sistema di credenze, dette “isole della personalità”, che sono presentate come una sorta di convinzioni innervate e profonde, intrecciate con il sistema di valori. Si struttura così anche il senso di sé di Riley, attraverso pensieri taciti, procedurali ed esperienziali. In effetti guardare questi film può permettere di riconoscersi e di sentirsi validati nella propria esperienza emotiva. Possiamo quindi comprendere come sia fondamentale “sentire” le emozioni e quanto il ruolo corpo-mente sia parte integrante della regolazione degli affetti e delle emozioni.
Le esperienze emotive (o emozioni) sono un processo multicomponente, cioè articolato in più parti e con un decorso temporale che evolve. L’esperienza emotiva viene innescata da quelli che definiamo antecedenti emotigeni, ovvero eventi di varia natura, esteriori o interiori, come un ricordo, un pensiero o un’immagine mentale. Le emozioni sono appunto il segnale che vi è stato un cambiamento nello stato del mondo interno o esterno, soggettivamente percepito come saliente. Il decorso temporale delle emozioni può essere estremamente differente: in alcuni casi esse hanno un chiaro inizio e un’altrettanto chiara fine, con un’intensità stabile nel tempo, mentre in altri casi è più difficile definirne in modo preciso il decorso poiché presentano un pattern maggiormente discontinuo e fluttuante, pure in termini di intensità. Come appena detto, le emozioni sono costituite da diverse componenti:
- La valutazione cognitiva da parte dell’individuo di un determinato antecedente emotigeno.
- L’attivazione fisiologica dell’organismo (ad esempio, variazioni nella frequenza cardiaca e respiratoria, sudorazione, pallore, rossore eccetera).
- Le espressioni verbali (ad esempio il lessico emotivo) e non verbali (espressioni facciali, postura, gesti eccetera).
- La tendenza all’azione.
- Il comportamento vero e proprio, generalmente finalizzato a mantenere o a modificare il rapporto transazionale in corso tra individuo e ambiente.
- La valenza (piacevolezza o spiacevolezza) dell’esperienza emotiva.
Ogni emozione è quindi utile e di per sé nessuna è negativa, ma esistono emozioni in cui è piacevole “sostare” ed emozioni ed esperienze emotive spiacevoli in cui facciamo molta più fatica. Ed è proprio a questo punto che entra in gioco la regolazione emotiva. Con la locuzione “regolazione emotiva” si è soliti fare riferimento a una serie di strategie e comportamenti messi in atto dall’individuo, anche con scarso livello di consapevolezza, per regolare l’emozione provata in un dato momento. La regolazione emotiva è considerata come un costrutto multidimensionale, caratterizzato da:
- Disponibilità a sperimentare emozioni negative o positive.
- Consapevolezza, comprensione e accettazione dei diversi stati emotivi.
- Impegno nel raggiungimento di un dato obiettivo, in risposta a emozioni sia piacevoli che spiacevoli.
- Uso flessibile di strategie adeguate al contesto per modulare l’intensità e/o la durata della risposta emotiva.
- Spostamento e non soppressione dell’emozione disfunzionale.
Gli aspetti del processo emotivo in cui l’uomo può intervenire alterandone la natura sono la comparsa, la durata, il contenuto e la qualità dell’esperienza.
Quando pensiamo alla regolazione emotiva, forse immaginiamo quella tendenza a sopprimere e a controllare le emozioni negative, ma in effetti esistono diverse strategie di regolazione e la soppressione delle emozioni è una tra quelle più disfunzionali, insieme all’evitamento e al rimuginio. La ristrutturazione cognitiva (cioè il generare interpretazioni o prospettive positive di una situazione stressante per ridurne gli effetti negativi), il problem solving (cioè il cambiare una situazione stressante e contenerne le conseguenze) e l’accettazione non giudicante dell’esperienza emotiva, rappresentano strategie di regolazione emotiva adattiva.
Nelle emozioni più spiacevoli come Tristezza, Paura, Rabbia e Ansia, le nostre capacità di regolazione possono fare molta più fatica. Inside Out 1 ci presenta le emozioni primarie e invece nel film seguente incontriamo alcune di quelle secondarie, ma la nostra gamma emotiva è decisamente più ampia. Infatti all’appello manca ad esempio Vergogna, una tra le emozioni che, nella mia esperienza di psicologa Uildm, mi ritrovo ad affrontare maggiormente insieme a Rabbia e Paura.
Comunque una delle scene più commoventi, e che personalmente apprezzo di più, è quando nella prima pellicola Gioia comprende l’importanza di Tristezza: Riley sta giocando a hockey e sbaglia un tiro, decretando così la sconfitta della squadra. Solo la sua Tristezza di quel momento permette ai genitori e alle compagne di squadra di avvicinarsi per consolarla, rendendo quel ricordo piacevole, gioioso e mostrando cosi il significato di accettazione non giudicante dell’emozione.
“Piangere mi tranquillizza, mi fissa sulla gravità dei problemi della vita!” (Tristezza)