Pubblicato da Noemi Canavese il: 9 dicembre 2023

Fotografia e psicologia

L’utilizzo delle immagini per l’esplorazione di sé

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Dal progetto fotografico del gruppo di condivisione “La forza delle parole”: “Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore” (Henri Cartier-Bresson)

Il termine “fotografia” deriva dal greco antico photos (luce) e graphia (scrittura), ovvero “scrittura con la luce”. In poche parole la fotografia è un processo chimico attraverso il quale l’immagine di un qualsiasi oggetto viene fissata e resa permanente su un supporto di materiale sensibile ai raggi luminosi. L’estrema versatilità di questa tecnologia le ha consentito di svilupparsi nei campi più diversi delle attività umane, come la ricerca scientifica, l’astronomia, la medicina, il giornalismo eccetera, fino a consacrarla, in alcuni casi, come autentica forma d’arte, nonostante il fatto che generalmente le fotografie non siano direttamente frutto della nostra immaginazione, ma sempre e comunque il prodotto diretto di una macchina e per necessità abbiano come referente il mondo fisico.

La fotografia è potente perché, se riflettiamo, tutti possiamo subito riportare alla mente immagini famose per la loro bellezza o drammaticità, oppure ancora immagini personali a noi molto care. Oggigiorno assistiamo a un’accelerazione visiva e a una loro diffusione istantanea, dovuta alla combinazione di telefonini e di internet: infatti è più facile scattare fotografie poiché ogni cellulare possiede una fotocamera di buona qualità e il passaggio dall’analogico al digitale ci ha portato ad accumulare immagini non preoccupandoci del costo della stampa. Senza considerare quante volte capita di doverci destreggiare tra fake e alterazioni che portano a una manipolazione della storia raccontata. Dunque il rischio è la perdita della vera essenza della fotografia, quella che, a cominciare dalla sua nascita grazie a Louis Daguerre, ha reso possibile un “inesauribile viaggio nel mondo della visione e dell’incanto”. Se sapremo restare sul significato primitivo della fotografia e se riusciremo a mantenere uno stretto rapporto col mondo interiore, essa potrà assolvere alla sua funzione fondamentale: favorire la conoscenza del sé nella continua e costante relazione tra dato oggettivo e soggettivo. Lo spettatore sarà così in grado di costruire uno sguardo capace di condurlo in maniera attiva all’interno dell’immagine, sollecitandogli emozioni che lui stesso potrà tradurre in storie. Esattamente come la madeleine di Proust, l’immagine, come il profumo, evocherà allora emozioni, sensazioni e ricordi, riconducendo a eventi passati, luoghi, persone e riportandoli al presente in tutta la loro pregnanza.

Quando scatto cerco sempre di metterci il cuore e immortalare le emozioni, solo così, credo, una foto possa diventare un ricordo indelebile. Alcuni oggetti sembrano particolarmente adatti a trattenere i ricordi, i luoghi sono vere e proprie zone della memoria. (Luigi Ghirri)

Anche nella psicologia la fotografia trova la sua applicazione: ad esempio nella ricerca, come lo studio sulle microespressioni facciali di Paul Ekman, oppure nell’educazione, come imparare le emozioni attraverso il riconoscimento delle immagini. In psicologia clinica, utilizzando il ritratto fotografico, viene adoperata all’interno di pratiche terapeutiche di particolari patologie legate alla non accettazione della propria immagine corporea e all’autoperlustrazione. Inoltre può essere usata per esplorare parti inconsce del sé, partendo dalle immagini è possibile esporre gradualmente una persona a uno stimolo ansiogeno durante il trattamento di desensibilizzazione per una fobia specifica e, attraverso la scelta di immagini significative della propria vita, è possibile ripercorrerne le tappe fondamentali e costruirne una nuova narrazione.

Ma come applicare l’uso della fotografia al lavoro di gruppo? Il gruppo è fatto di individualità, ma è anche un’entità che si crea ex novo. L’idea di utilizzare le immagini per “esplorare il gruppo”, senza perdere le singolarità di ognuno, nasce dal meraviglioso progetto fotografico “Qui è tutto oro” di Michela Mariani. Nel suo libro fotografico, l’autrice esplora il dolore legato al non riconoscere più la madre malata di Alzheimer. Attraverso fotografie personali ricompone così l’immagine della madre perduta, ricostruendola nel presente e dando valore e significato a ciò che non c’è più, a ciò che esiste ancora e a ciò che è nuovo.

Quindi, partendo da immagini personali, l’obiettivo del gruppo “La forza delle parole” è diventato quello di creare un racconto che illustri cosa significa vivere con una patologia neuromuscolare. Questo lavoro non vuole essere didascalico, né ha l’intenzione di spiegare cos’è la distrofia, invece, grazie all’esplorazione di sé di ogni membro e tramite la scelta delle immagini, esso vuole lasciare libero l’osservatore di indirizzare il suo personale sguardo e di accogliere le emozioni che queste immagini potranno suscitare.

Il progetto è iniziato partendo da alcuni obiettivi e da alcune considerazioni generali:

? le persone non devono aver paura della disabilità;

? disabili e non disabili hanno le stesse esigenze, gli stessi desideri e le stesse ambizioni;

? le persone con una disabilità cercano di avere una vita “normale”;

? non tutte le patologie sono uguali, ma ci sono aspetti di comunanza;

? le patologie neuromuscolari sono degenerative e uno degli aspetti più difficili da affrontare è il continuo cambiamento;

? le persone miodistrofiche non sono privilegiate, ma lottano per ciò che spetta loro di diritto;

? la disabilità non è contagiosa;

? diversità non vuole dire peggio.

Una volta stabiliti questi obiettivi, il racconto fotografico è stato suddiviso in cinque fasi: la scoperta, la consapevolezza, domande senza risposta, ricostruirsi/adeguarsi e nuovi obiettivi. Ogni fase, caratterizzata da una o più fotografie e da alcune frasi significative, esplora vari aspetti della disabilità: difficoltà, limitazioni, delusioni, paure, non sapere, ricostruzione, consapevolezza, capacità di desiderare e di porsi obiettivi e possibilità di essere visti esattamente per quello che si è. L’obiettivo principe che ci riporta dunque alla vera essenza della fotografia, filo conduttore dell’intero racconto, è trasmettere emozioni. In questo modo emozioni e ricordi hanno accompagnato tutta la creazione, favorendo nei partecipanti un’esplorazione introspettiva e stimolandone le riflessioni, ed è ciò che speriamo possa fare questo racconto.

Di conseguenza, senza voler anticipare troppo per non togliere l’immediatezza e la sorpresa dell’emozione, vi invito a passare in sede al fine di farvi sorprendere da questa narrazione fotografica.

Allora qual è la visione corretta del mondo e quale l’occhio normale in grado di raccontarlo? Cos’è una buona fotografia? Il valore di queste immagini sta nella varietà del soggetto, nel qui ed ora che sono irripetibili. E sono queste peculiarità che annullano il difetto di esecuzione. E restituiscono l’incanto. (Michela Mariani)