Pubblicato da Ernesto Bodini il: 11 giugno 2021

Lettera aperta a chi ha scarsa coscienza civica e umana nei confronti delle persone disabili

Dobbiamo sentirci tutti coinvolti non per mera solidarietà, ma per quel senso di uguaglianza che determina e giustifica l’esistenza dell’Essere.

Lettera-3

Mi rivolgo a voi tutti, amministratori pubblici e privati, responsabili e irresponsabili (direttamente o indirettamente), politici attivi e non, altruisti ed egoisti, etici e non etici, per sottoporre alla vostra coscienza l’umanissima realtà dell’handicap, da ri-vedersi nell’ottica della cultura e del diritto.
Anzitutto vi rammento che non esiste una testimonianza storica sul problema delle persone disabili come realtà sociale e giuridica, ma solo alcune fonti relative a periodi e a civiltà diverse. Per la verità questa è una carenza culturale un po’ di tutti, ma in particolare di voi politici e, in taluni casi, anche di voi operatori della pubblica amministrazione. Perciò questa lacuna richiede un maggior approfondimento non solo della terminologia, ma anche della concettualità, dei diritti esistenziali e socioassistenziali e soprattutto del rispetto della dignità di quanti vivono nella condizione di disabilità.
In questi ultimi anni sono stati diversi gli stimoli a livello internazionale relativi all’evoluzione delle problematiche dell’handicap, come ad esempio la Dichiarazione dei diritti delle persone disabili adottata nel 1975 dall’Assemblea generale dell’Onu, l’Anno internazionale delle persone disabili proclamato nel 1981 e l’Anno europeo delle persone con disabilità dichiarato nel 2003. Inizialmente queste ricorrenze di rilevanza planetaria hanno avuto una certa eco ma, a mio avviso, col passare del tempo la loro considerazione è andata scemando in quasi tutti i paesi emancipati e in particolare nel nostro, che tanto vanta democraticità e uguaglianza.
Tali ricorrenze sono nate per mettere in risalto le molte persone meno fortunate (circa il 15% della popolazione mondiale, di cui cinquanta milioni in Europa e circa tre in Italia) con problemi di diversa natura, fisica, psichica e sensoriale, alle quali non si deve precludere alcun diritto, oltLettera-1re che considerarle nella loro interezza, tenendo conto di tutti gli aspetti del loro sviluppo fisico e psichico.
Purtroppo devo rilevare e sottoporre alla vostra coscienza che a tutt’oggi queste iniziative istituzionali hanno costituito in buona parte solo lo spunto per petizioni di principio, senza possibilità di ben più corpose concretizzazioni. In partenza gli obiettivi comprendevano anche i programmi per la loro realizzazione, individuale e collettiva, incluse le molteplici cause che determinano le rispettive disabilità fisiche e/o psicofisiche, ma anche i fattori socioeconomici e culturali: famiglia, casa, lavoro, scuola, sussidi, assistenza eccetera, tutti aspetti che hanno trovato ben poca consistenza, come ad esempio la collocazione al lavoro, l’inserimento scolastico, il sostegno psicofisico e strumentale, l’autonomia e via di questo passo.
Ma tornando al concetto relativo alla cultura, dovete ammettere che ancora oggi l’handicap è una questione solo di (belle) parole e quindi di una terminologia “ricercata”, i cui riferimenti risultano assai vaghi e, non a caso, assai contestati (vedasi ad esempio l’infelice espressione “portatore di handicap”). In effetti, a ben riflettere, proprio perché è soprattutto una questione di parole, l’handicap lo si concepisce unicamente dal punto di vista della cultura e dell’espressione giuridica. Il vocabolo, che viene pronunciato per lo più tra compassione e disprezzo, identifica una qualsiasi situazione di svantaggio che rende una persona “diversa” dalle altre, nel senso che la si ritiene inferiore. Inoltre, la condizione di questa persona (soprattutto se affetta da deficit psichico o psicofisico grave) è quella del “non desiderato”, che diventa quasi sempre un capro espiatorio dell’aggressività del gruppo sociale a causa del suo ruolo svalutato, tale da renderlo spesso vittima di “strani” atteggiamenti, intolleranza ed emarginazione.
Nel suo insieme la società, e quindi anche voi destinatari della presente, non concepisce il fatto che il disabile, proprio perché non è di “un’altra specie”, costituisce sempre un caso a sé, unico e non standardizzabile. Il concetto è essenziale, poiché la mancanza di rispetto e quindi di accettazione di qualunque realtà individuale condurrà sempre a violenza e ghettizzazione. Oltre a essere particolarmente pesante e difficile, questa situazione non tende a mutare, in quanto è aggravata dalla cosiddetta “cultura dominante del bello e della produttività ad ogni costo”, diventando una nuova mitologia che crea continuamente nuovi soggetti disabili.
Ma tutto ciò cosa significa? Sarò più incisivo e diretto: la condizione di handicap, quindi di svantaggio, è qualcosa che si evidenzia fra l’individuo e la società circostante, e proprio perché tale ambiente non è adatto alle necessità di tutti è la società stessa che dovrebbe adeguarsi (e non il contrario…). A questo proposito mi sovviene qualche caso conosciuto di disabili con diritto a una collocazione lavorativa in enti pubblici (e anche privati). Ebbene, per il solo fatto che gli stessi avevano qualche limitazione, come il “lenLettera-2to” adattamento e la “non immediata” comprensione nell’espletare una certa mansione, non avevano superato il cosiddetto periodo di prova ed erano stati licenziati, senza la possibilità di essere collocati altrove. Molte persone disabili hanno delle discrete capacità residue e buona volontà, ma se non si ha coscienza e pazienza nell’insegnare loro come inserirsi nel mondo del lavoro, ne diventa inevitabile l’“estromissione”, anche dal tessuto sociale, con le conseguenze che è facile immaginare.
E poi: “Cari signori del potere e volere, vogliamo ora considerare anche l’aspetto morale?”. E’ un argomento non meno importante in quanto in esso si fa riferimento all’inesistente uguaglianza di fatto, mentre il disabile è “Persona” a cui si deve il massimo rispetto della dignità, quali che siano i suoi limiti fisici e/o psichici. Senza questa responsabile considerazione il problema non può essere nemmeno sentito come reale, in quanto per la maggior parte delle persone disabili resta un fastidioso disagio… da rimuovere. Anche se essi fanno notare che scienza e tecnologia mettono a disposizione molti strumenti di aiuto pratico al fine di limitare i disagi, ben poco viene compiuto nell’ambito della prevenzione (primaria e secondaria), nonostante che l’opinione comune la identifichi come sinonimo di “scelta vantaggiosa” per il recupero della persona disabile. Ma per prevenire è necessario conoscere a fondo le cause di ciò che si vuole evitare, volgendo uno sguardo anche alle malattie rare che possono determinare una qualsiasi forma di disabilità. A parte gli addetti ai lavori questo sapere, purtroppo, appartiene a pochi altri, ed è quindi un fatto di coscienza che ciascuno di voi ne prenda atto, affidandosi a chi ha le competenze adatte a trasmettere le relative nozioni connotate dall’umana solidarietà.
Tuttavia, alla luce di tutte queste considerazioni, come si può superare, per quanto possibile, la condizione di handicap? Se avrete l’accortezza di leggermi sino in fondo vi dico che l’handicap potrebbe essere superato se tutti voi, attraverso l’apporto delle tecnologie, dell’organizzazione e della corretta informazione, vi impegnaste a integrare la persona con disabilità nel normale circuito sociale, facendo leva sulle potenzialità e sulle capacità residue del singolo soggetto e imponendo a chi di dovere la considerazione delle stesse. Inoltre, poiché la qualità della vita passa attraverso la qualità del diritto (ove è prevista giustizia equa per l’intera comunità, il diritto fissa precise garanzie per ciascun cittadino), a maggior ragione chi soffre il disagio dell’handicap necessita di una particolare tutela che ne impedisca l’emarginazione, tutela garantita dalla certezza di regole che stabiliscano il principio di parità sociale.
Ma nel suo insieme raramente la società, e quindi anche voi, si pone il problema di aiutare i disabili garantendo loro anche l’inserimento scolastico e soprattutto il sostegno di operatori qualificati insieme a quant’altro ancora necessiti loro per la creLettera-4scita in seno alla propria famiglia e nel più ampio contesto del tessuto sociale.
Quindi con questa lettera aperta mi rivolgo a voi, amministratori, responsabili e politici, affinché “una volta tanto” consideriate il valore della persona, sia essa disabile o no. Questa esortazione sia dunque il preludio al superamento della vostra inerzia, nascosta talvolta dietro al paravento della carenza di mezzi (strutture, denaro, risorse umane eccetera), ma soprattutto dietro a quello dell’ipocrisia… tanto umiliante quanto deleteria, in special modo per chi è considerato un “diverso” dalla collettività e quindi più sfortunato.
La solidarietà non è sempre dare, ma anche agire contro l’indifferenza, e le persone disabili sono proprio coloro che ci insegnano a guardare indietro e non avanti.