Pubblicato da Gianni Minasso il: 15 dicembre 2016

Terapia o tempo presente?

Sarebbe meglio indirizzare le risorse economiche e umane a disposizione verso il sostegno concreto dei distrofici viventi oppure destinare queste energie al finanziamento della ricerca medico-scientifica sulle patologie neuromuscolari?

terapiaotempopresente

La questione è estremamente semplice ma allo stesso tempo delicata e, parlandone, farò il possibile per evitare gli insidiosi malintesi nascosti, sempre in agguato contro la buonafede. Si tratta di un cruciale dilemma riguardante non solo la totalità di noi distrofici, ma anche i nostri familiari, gli amici, i volontari e persino qualche estraneo. Lo metto subito nero su bianco: sarebbe meglio indirizzare le risorse economiche e umane a disposizione verso il sostegno concreto dei distrofici viventi oppure destinare queste energie al finanziamento della ricerca medico-scientifica sulle patologie neuromuscolari?
Purtroppo, su queste antitetiche posizioni, le varie onlus di categoria si scontrano da sempre e in passato si sono pure divise, mentre c’è stato chi se n’è andato sbattendo la porta. Le zuffe a proposito delle due diverse filosofie sono (ahimè) ancora attuali e anche all’interno della stessa Uildm le Sezioni non seguono una comune linea di condotta, bensì derivano da una parte o dall’altra, talvolta con un’ostinazione senz’altro degna di miglior causa. Infatti abbiamo un’esperienza diretta di riunioni ufficiali o semplici incontri informali durante i quali si è arrivati addirittura a litigare, e con violenza, per tentare di far prevalere una delle due prospettive. Risulta comunque agevole raggruppare in tendenze omogenee i rappresentanti delle diverse categorie implicate. Mi spiego meglio. I distrofici più “anziani” (vedi il sottoscritto, con ormai quarant’anni di patologia sul groppone) preferiscono ovviamente il famoso hic et nunc (qui e ora), privilegiando il miglioramento della loro qualità di vita, da perseguire con ogni mezzo possibile.
Invece i genitori degli ammalati in età infantile premono l’acceleratore sulla ricerca, nella ragionevole speranza di rientrare ancora in tempo nel campo d’azione della fatidica scoperta risolutiva. Come corollario possiamo ancora citare i medici per i quali, in assenza di precisi riscontri e proprio per la natura del loro impegno professionale, possiamo ipotizzare una certa qual propensione ad aiutare chi lotta da anni contro il suo tenace avversario. In ogni caso, pur astraendosi dalla specifica condizione in cui si vive, resta comunque difficile scegliere in modo razionale uno dei due schieramenti. Il capillare tentativo di alleviare le pene quotidiane di chi ha poca distrofina è indispensabile sì, ma sterile riguardo l’eliminazione definitiva della nostra anomalia genetica. Invece dedicare anima e corpo all’inseguimento di una terapia efficace significa proiettarsi alla caccia di un radioso traguardo, tuttavia (e sfortunatamente) ancora forse lontano nel tempo. Quindi, arrivati di fronte all’inevitabile bivio, è necessario proseguire perché (e qui non v’è alcun dubbio) chi si ferma è perduto. A questo punto, a parità di costi economici e umani da impiegare, quale strada sarebbe lecito imboccare: presente o futuro, tradizione o progresso, tranquillità o ambizione? E’ meglio, oggi, l’uovo di una decorosa vita quotidiana o, domani, la gallina della guarigione?
Ripensandoci bene, la soluzione del dilemma è a portata di mano: basta ispirarsi, per l’ennesima volta, al vecchio e caro re Salomone. In questi frangenti l’In medio stat virtus non è una polverosa esortazione di Aristotele, Orazio, Ovidio o dei filosofi scolastici medievali (e scusate se è poco), piuttosto è l’invito a cercar di raggiungere, senza esasperazioni, un punto di equilibrio tra i due estremi. In parole povere: finanziamo pure i laboratori della ricerca, ma contemporaneamente procuriamo anche ai distrofici tutti gli aiuti possibili per condurre dignitosamente la propria esistenza.
Qualcuno dirà che così, separando le risorse, non si farà abbastanza né in un campo né nell’altro, tuttavia, a buonsenso, non v’è nulla di meglio che vivere con meno affanni, guardando con serenità la linea dell’orizzonte, luogo dove la distrofia muscolare non esisterà più.