Pubblicato da Gianni Minasso il: 24 novembre 2015

Soldati scelti

Già nell’acronimo della nostra associazione è presente il termine “lotta”. Poi, in riviste e siti, come anche nei discorsi delle persone comuni o degli addetti ai lavori, si sente spesso parlare di “guerra” contro la distrofia muscolare.

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Già nell’acronimo della nostra associazione è presente il termine “lotta”. Poi, in riviste e siti, come anche nei discorsi delle persone comuni o degli addetti ai lavori, si sente spesso parlare di “guerra” contro la distrofia muscolare, con annessa tutta una varia terminologia: battaglia, scontro, armi, nemico, commilitoni, caduti, eroismo, onore, pericolo, paura, sconfitta, esaltazione e vittoria. A questo punto viene naturale tracciare un parallelo tra soldati e miodistrofici, perché entrambi, condividendo esperienze simili, combattono per la loro stessa vita.
Nel tentativo di compiere questo paragone, si potrebbe facilmente cadere nella retorica ma, grazie ad alcune citazioni, cercherò di evitare il trabocchetto. Cominciamo con “Conosco i soldati: non c’è nessuno più realista di loro. Ci puoi provare, ma non riesci a prenderli in giro” (Lee Child). E qui non v’è molto da aggiungere, poiché la sottomissione quotidiana ad una qualsiasi forma di malattia neuromuscolare concede, se non altro, un grado di consapevolezza e lucidità non comune, a tratti persino spietato.
“Un soldato ha il grande vantaggio di poter guardare il suo nemico negli occhi” (Russell Crowe, alias Massimo Decimo Meridio, nel film “Il gladiatore”) è un comportamento messo in opera di continuo da quasi tutti quegli intrepidi a cui difetta la distrofina. Infatti è l’unica strada praticabile: non abbassare mai lo sguardo e tenerlo ben saldo negli occhi del mortale avversario, per conoscerlo meglio, anticipare le sue mosse e batterlo almeno nei combattimenti intermedi, se non (ancora) alla fine del conflitto. La ragione di quest’atteggiamento, a cui è indispensabile uniformarsi, deriva anche da un fatto molto semplice: “Da dove vengo io, un soldato che perde la testa in combattimento si chiama bersaglio” (Master Miller, nel videogioco “Metal Gear Solid”). Non mi dilungo sullo spiegare quanto può essere nocivo restare immobili di fronte ad un antagonista così potente come quello rappresentato da una qualsiasi forma di patologia neuromuscolare.
Ciò sfocia, inevitabilmente, nell’assioma “Il valore di un soldato non lo si giudica in tempo di pace o di quiete, ma nell’ora dell’assalto” (Francesco Olgiati). Purtroppo le occasioni di aggressione da parte della distrofia sono innumerevoli, tuttavia “Un soldato deve confidare sulla sua spada e sul suo coraggio, non perdere tempo ad adornarsi di oro e argento, ma soltanto del suo valore” (Tito Livio). Nel caso in questione la spada può essere rappresentata dalla scienza medica e da tutti quegli indispensabili armamenti che mette a nostra disposizione: dagli esami genetici ai ventilatori, dai trial clinici alle tracheotomie eccetera. Per quanto riguarda invece il coraggio, i valorosi combattenti in carrozzina dimostrano quotidianamente di averne a disposizione oltremisura. Basta sfogliare qualche pagina a caso di questa stessa rivista per rendersene subito conto.
E poi c’è la struggente commemorazione dei caduti, di chi ha lottato strenuamente, soccombendo infine al mortale nemico senza però cedere un solo millimetro di dignità: “I vecchi soldati non muoiono mai, svaniscono lentamente” (Douglas MacArthur). E a questo proposito, se permettete, riporto adesso un breve stralcio di “La correttezza politica non è più una virtù”, proiezione presentata dal sottoscritto alle Manifestazioni Uildm napoletane del maggio 2006: “Desidero qui ricordare tutti
quelli che, dall’epoca di Duchenne de Boulogne, sono periti sul nostro campo di battaglia. Certo, possiamo anche scherzare su questa orribile malattia, ma poi, senza voler scadere nel pietismo o nella retorica, dobbiamo ammettere che la nostra è una vera e propria guerra.
Vorremmo fare a meno degli eroi, ma oggi non è ancora possibile. Onore quindi ai caduti, e un robusto augurio a tutti i commilitoni che, sotto l’infuriare della distrofia, stanno ancora combattendo in trincea”.
Infatti la chimera resta quella della poetessa Eve Merriam: “Io sogno di dare alla luce un bambino che chieda: mamma, che cosa era la guerra?”.